L’attualissimo cult urbano di Mathieu Kassovitz
torna nei cinema dal 13 maggio

Con Vincent Cassel, Hubert Koundé e Saïd Taghmaoui

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Poster L'ODIO - LA HAINE - Al cinema dal 13 maggio

CAST E TROUPE

Regia: Mathieu Kassovitz
Soggetto e sceneggiatura: Mathieu Kassovitz
Cast: Vincent Cassel, Hubert Koundé, Saïd Taghmaoui, Benoît Magimel, Vincent Lindon
Fotografia: Pierre Aïm
Montaggio: Mathieu Kassovitz, Scott Stevenson
Scenografie: Giuseppe Ponturo
Costumi: Virginie Montel
Produttore: Christophe Rossignon
Casa di produzione: Les Productions Lazennec 
Coproduzione: Le Studio Canal+, La Sept Cinéma, Kasso inc Productions
Distribuzione 2024: Minerva Pictures e Rarovideo in collaborazione con Cat People
Durata: 97 minuti

L’ODIO – LA HAINE TORNA AL CINEMA DAL 13 MAGGIO

Ventiquattr’ore nella vita di Vinz (Vincent Cassel), Hubert (Hubert Koundé) e Saïd (Saïd Taghmaoui), tre amici della banlieue parigina all’indomani degli scontri tra forze dell’ordine e civili dopo i quali un ragazzo del quartiere, Abdel, si ritrova in fin di vita a causa dei soprusi violenti della polizia. I tre, carichi di rabbia e con una pistola tra le mani, meditano su come avere giustizia.

Attraverso scene diventate memorabili e iconiche – da Cassel che cita il De Niro di Taxi Driver davanti allo specchio alla storia raccontata nei gabinetti – L’odio è diventato il punto di riferimento dell’immaginario metropolitano fin dalla sua uscita, un instant classic per tematiche e stile. 

L’ira di Vinz, la riflessività di Hubert e la buffoneria di Saïd ci guidano in un microcosmo senza eroi e senza miti, in cui convivono il quotidiano della periferia (in lingua originale quasi tutto il film è in slang stretto) e una rabbia pronta ad esplodere da un momento all’altro, divisa tra smarrimento e vendetta, in un racconto continuamente oscillante tra obiettività e simbolismo. Percorrendo i contorni sfocati della giustizia ed esplorando le contraddizioni dei suoi protagonisti, Mathieu Kassovitz ha infatti catturato l’essenza degli squilibri sociali, trasformandola e andando a creare un film emblematico e universale, allo stesso tempo crudo e cool, sporco e ricercato.

Rivedere L’odio oggi equivale a ritrovarsi davanti a un manifesto lucido e senza tempo che immortala questioni che dopo quasi trent’anni appaiono ancora più attuali. Il mantra «Fino a qui tutto bene» che apre e chiude il film è ancora oggi una preghiera laica che racchiude insieme la speranza e la disillusione di ormai più di una generazione.

Minerva Pictures e Rarovideo Channel, in collaborazione con Cat People, riportano sul grande schermo L’odio di Mathieu Kassovitz, con Vincent Cassel, Hubert Kounde e Saïd Taghmaoui, film vincitore della Palma d’Oro per la Miglior Regia al Festival di Cannes nel 1995.

Quest’anno Rarovideo, la divisione editoriale di Minerva Pictures che da anni è presente in veste digitale con Rarovideo Channel su Prime Video e The Film Club, celebra il suo 25° anniversario. Il restauro de L’odio è solo la prima delle tante iniziative che accompagneranno questo importante traguardo.

TRAILER

APPROFONDIMENTI E INTERVISTE

SUL FILM

L’opera seconda di Mathieu Kassovitz non si ferma al reportage e al pietismo, tutto il contrario. L’odio crea un mondo nuovo, trasformando la realtà in una fiaba urbana in grado di cogliere l’energia di ogni singolo istante fino a renderlo universale, in un susseguirsi di idee continue e di narrazione che rinascono a ogni scena.

Ci sono il primo Spike Lee e Scorsese, il cinema classico con la sua eleganza e quello indipendente con la sua urgenza, ma soprattutto la capacità di tramutare l’essenziale in una sorta di realismo magico.

Ne L’odio stile e realtà, estetica ed empatia, lucidità e rancore s’appartengono a vicenda perché, se è vero che i suoi personaggi sono destinati al peggiore atterraggio, a ogni singolo piano è un momento a cui voler tornare.

Difatti L’odio per primo racconta il suburbano delle grandi città senza il peso della morale né l’aridità della mera denuncia, arrivando a divincolarsi in modo stupefacente anche dai canoni dell’esaltazione del tragico alla Scarface. Vinz è la furia, Hubert la lucidità, Saïd la beffa, e il loro racconto è una via crucis dove il connubio tra grottesco e cronaca crea una nuova, irripetuta, dimensione di vitalità fatta di forza visiva, di tumulto, di cinema puro. Quello il cui sapore è di tutti e per tutti, in grado al contempo di trasportare altrove e di mettere quella pistola trafugata in mano a ogni spettatore.

«Vorrei farne fuori almeno uno come Vinz ne L’odio» cantava Lord Bean già nel 1998, mentre Il mantra «Fino a qui tutto bene» che apre e chiude il film è ancora oggi una preghiera laica che racchiude insieme la speranza e la disillusione di ormai più di una generazione, pluricitata e tanto nota da dare nel 2010 il titolo a un album di Marracash.

Perché L’odio non si limita a essere specchio del reale né un semplice cult: è cinema fatto di invenzioni visive a getto continuo ma che non perde mai di vista il cuore pulsante e incazzato della vicenda. Riecheggia nelle strade, negli atteggiamenti, nella musica urban e, finalmente, di nuovo nelle sale cinematografiche.

REALIZZAZIONE

Il film è stato pensato in bianco e nero anche per avere un maggior controllo sull’omogeneità delle immagini. All’epoca si trattò di una sfida, trattandosi di una scelta non ben considerata dal punto di vista commerciale, tanto che i produttori vollero che venisse girato a colori per avere una copia da trasmettere in televisione. Il successo del film però fu tale che l’idea venne accantonata e la versione a colori non vide mai ufficialmente la luce, pubblicata unicamente come extra in home video.

Per conoscere meglio la realtà raccontata nel film, i realizzatori vissero diverse settimane nel quartiere dove è stato girato il film, a contatto il più possibile con la comunità locale per assimilarne al meglio l’attitudine e lo slang. Gran parte del film utilizza termini gergali e modi di dire molto particolari proprio della zona di Chanteloup-les-Vignes. Tra questi, il verlan, diffuso in tutta la Francia, attraverso il quale si invertono le sillabe delle parole. Per i dialoghi fu determinante l’apporto dell’attore Saïd Taghmaoui, uno dei tre protagonisti proveniente da una realtà di periferia.

Per quanto appaiano molto naturali, quasi nessuna scena del film è stata improvvisata, per quanto vi siano delle aggiunte, soprattutto per quanto riguarda il turpiloquio di Vincent Cassel.

Considerato il budget ristretto e i rischi derivanti da riprese troppo frammentate, il motto del regista Mathieu Kassovitz era “ogni scena un’idea”, così da avere del materiale sicuro e definito e ridurre al minimo lo stress e i dubbi al montaggio. Ogni scena de L’ODIO è infatti composta da fluidi long take e da veri e propri piani sequenza, che sono così andati a costituire uno degli elementi principali dello stile del film. Sempre per questo motivo, la primissima versione del film era più lunga della definitiva solo d’una manciata di minuti, sfoltiti unicamente per questioni di ritmo.

L’impatto del film fu immediato anche a livello internazionale, diventando uno dei titoli fondamentali dell’immaginario hip hop anche italiano.

L’ODIO è stato restaurato in 4K partendo dai negativi originali con la supervisione del direttore della fotografia Pierre Aïm e approvato dal regista Mathieu Kassovitz.

INTERVISTA A MATHIEU KASSOVITZ

Come ti è venuta l’idea de L’ODIO?
Quando è morto Makomé, vittima di un errore grossolano in una stazione di polizia parigina, mi sono chiesto come si potesse entrare nel circolo vizioso dell’odio: giovani che insultano i poliziotti che insultano i giovani che insultano i poliziotti… Finisce sempre con una cazzata. Ma dal momento che i poliziotti hanno le armi con sé, sono loro che possono spingere le cose più lontano.

Dove hai girato L’ODIO?
A 30 chilometri da Parigi, in un quartiere popolare non particolarmente sgradevole: ci sono spazi verdi e campi da calcio. Non è sgradevole ma è una banlieue: vale a dire che l’80% della popolazione e il 100% dei giovani non hanno niente da fare. Non vanno più a scuola, non hanno niente, sono incazzati. È la “sindrome del portico”. Stanno dalla mattina alla sera sotto il portico di un palazzo e aspettano, fumano spinelli… Non hanno niente. Nessun lavoro, niente. A parte le piccole imprese… Non c’erano droghe dove abbiamo girato. Per fortuna, perché quando ci sono i veri spacciatori si ragiona a colpi di arma da fuoco!

Il film è stato girato in bianco e nero. Per quali ragioni?
Volevo fare un film che entrasse nel profondo, che si sporcasse le mani. L’ODIO è un film contro i poliziotti e volevo che fosse compreso come tale. Anche se tra i poliziotti mostro i bravi ragazzi e tra i giovani i cattivi stronzi. Ora per evitare di cadere nell’“anti-fiction primaria” sei obbligato a integrare elementi che rendano vivi i personaggi in modo che ridano di ciò che stanno vivendo. Ci sono necessariamente elementi leggeri, non parliamo solo della pistola trovata dai personaggi o dell’uccisione di un poliziotto… Dovevo mettere le cose che mi piacciono, elementi un po’ più carini, come ho fatto in Métisse, per avere un po’ d’aria. Solo perché i ragazzi sono arrabbiati non significa che siano cattivi. Per me l’unico modo per ricordare agli spettatori che non stanno guardando una commedia o qualcosa di carino era girare il film in bianco e nero. Bianco e nero significa “guarda, c’è qualcosa di più o di meno ma c’è qualcosa di speciale”.

Non hai paura che dopo L’ODIO si cerchi di farti portavoce dei giovani delle periferie?
Sei un portavoce se decidi di diventarlo. Rifiuta e basta. Ho cose da dire sugli errori della polizia, su storie che mi sembrano bizzarre. Ora, se ci sono persone che pensano che L’ODIO sia l’unico modo di vedere le cose, questo è un problema loro. Abbiamo sviluppato un progetto musicale attorno al film. Dato che ne L’ODIO non c’è musica da film, pubblicheremo un disco realizzato da rapper francesi. MC Solaar, IAM, Les Sages Poètes de la rue, Sens Unik… Abbiamo preso i temi del film e abbiamo chiesto loro di svilupparli come volevano, per dare la loro visione, che non è necessariamente quella de L’ODIO. Questo per cercare di allargare un po’ il dibattito. La visione de L’ODIO è la mia visione, ma non è l’unica e non necessariamente quella giusta.

Frammenti tratti dal pressbook originale del film La Haine (Les Productions Lazzenec, Francia,  1995).

INTERVISTA A VINCENT CASSEL

Vincent, chi sei ne L’ODIO?
L’Odio…

Qual è stato il tuo contributo alla sceneggiatura o ai dialoghi?
Vari e non omologhi.

Come hai conosciuto Mathieu? Come avete lavorato insieme?
Abbiamo la stessa bici e la stessa passione per il Tibet. Ci siamo incontrati durante il “Royal Himalayan Mountain Bike Passion Raid” sette anni fa. I nostri rapporti con Saïd, Hubert e Mathieu sono stati stretti, calorosi, tesi, arricchenti. In realtà è stata la mia vera “prima volta”. Sarà indimenticabile e spero reciproco.

Come si sono svolte le riprese in città?
Bene, quando sappiamo che lì la situazione sta peggiorando sempre di più. In realtà lo schema è abbastanza semplice e lo stesso in tutte le metropoli occidentali: le generazioni precedenti hanno commesso errori enormi le cui ripercussioni riguardano tutti noi oggi. Nessun programma propone di rafforzare l’istruzione nei ghetti; al contrario, le autorità pubbliche li respingono. Siamo responsabili della rabbia delle persone parcheggiate. Penso che finché un paese, un gruppo o un individuo si rifiuta di assumersi la responsabilità e di guardare in faccia i propri errori, le cose non possono che marcire.
Ogni generazione non è responsabile di se stessa?

La portata sociale di L’ODIO ha qualche significato per te?
Non so cosa trasmetterà il film, è una finzione, uno spettacolo… Essendo solo un attore e non un autore, ho potuto approcciarmi ad un ruolo e ad una storia senza esserne “impegnato”. In realtà la portata del problema sociale mi è diventata chiara solo una volta lì; in questo possiamo dire che le riprese di L’ODIO  avranno avuto un impatto sociale, in ogni caso, al mio livello…

Frammenti tratti dal pressbook originale del film La Haine (Les Productions Lazzenec, Francia,  1995).

INTERVISTA A HUBERT KOUNDÉ

Hubert, chi sei ne L’ODIO?
Interpreto il ruolo di Hubert, uno dei tre personaggi de L’ODIO con Vincent e Said. Hubert vive in un quartiere popolare, è un pugile, ha allestito una palestra di boxe per allenarsi… Sta davvero cercando di tirare avanti. È anche un po’ uno spacciatore ma sono le circostanze a costringerlo a farlo: lo fa soprattutto per aiutare economicamente la madre. È il personaggio più “morale”, il più introverso, il meno espansivo. Infatti Said, Vinz e Hubert sono tre parti della stessa persona. Le loro personalità combinate sarebbero un ragazzo eccezionale.

Qual è stato il tuo contributo principale alla sceneggiatura o ai dialoghi?
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è “fatto su misura”: non ho l’impressione di parlare come Hubert. Il personaggio si chiama Hubert ma non sono io. Abbiamo preso i dialoghi dalla realtà. In un film i dialoghi sono sempre rappresentativi del contesto, dell’ambiente. Quando arrivi in ​​un luogo, c’è sempre la sua lingua. Per avvicinarci il più possibile alla realtà, dobbiamo appropriarci di questo linguaggio, dire quindi la verità, in modo accurato.

Come vi siete conosciuti tu e Mathieu e come avete lavorato insieme, attori e regista?
Ho conosciuto Mathieu durante il casting del suo primo lungometraggio: METISSE. Abbiamo lavorato insieme in modo molto semplice e una volta finito METISSE ho ripreso gli studi. Quando siamo partiti per promuovere METISSE in Italia, Mathieu mi ha detto: -Ho scritto un film e c’è un ruolo per te. E aggiunse: “Vuoi davvero fare questo lavoro? – È vero che ero titubante in quel momento… Trovarmi con le spalle al muro mi ha stimolato e così gli ho detto che partivo per girare L’ODIO.

Come si sono svolte le riprese nella banlieue?
Non importa dove vai, devi adattarti, assimilare le regole di quel posto e poi abituarti in modo che anche le persone si adattino a te. Apparentemente c’era tutto perché ciò accadesse. Pensavamo che sarebbe stato molto più difficile, invece è andata molto bene. Siamo usciti anche con gli amici… È andata meglio perché Mathieu ha avuto l’intelligenza di far recitare degli abitanti della città nel film. La realtà è entrata nella finzione.

Ha senso per te il significato sociale de L’ODIO?
Tutti i film dovrebbero avere un impatto sociale. Non so quale sarà il successo di L’ODIO, ma chi non tenta nulla non ottiene niente. Spero che forse questo cambierà qualcosa. Volevamo smantellare il processo di odio nelle banlieu, metterlo in immagini.
Non volevamo “vendere”: non voglio essere una di quelle persone che si arricchiscono grazie alla miseria degli altri. Non è davvero il mio genere. Spero che grazie a L’ODIO ci sia consapevolezza. Ma sarà una mamma temporanea, durerà un anno e bisognerà ricominciare da capo… Di film come L’ODIO, ne abbiamo bisogno, ne abbiamo bisogno!!!

Frammenti tratti dal pressbook originale del film La Haine (Les Productions Lazzenec, Francia,  1995).

INTERVISTA A SAÏD TAGHMAOUI

Saïd, chi sei ne L’ODIO?
Io sono quello che sdrammatizza, una sorta di “giullare del re”… Allo stesso tempo ho molta prospettiva sulla situazione, ho l’intelligenza per capire i problemi e cercare di porvi rimedio a modo mio, anche se non lo mostro. In definitiva è un personaggio terribilmente umano. Per usare un’immagine sono un po’ come la rete di una partita di tennis: Hubert e Vincent sono i due ragazzi che giocano. Sono anche un ragazzo super nerd la cui preoccupazione principale è fare soldi. E sono anche molto riccioluto e sempre in Tacchini! L’icona della feccia… Ma è la vita della banlieu a volerlo. Saïd potrebbe facilmente finire in prigione per due mesi come corriere per furto d’auto, perché un amico gli ha fatto conoscere la persona giusta al momento giusto.

Qual è stato il tuo contributo alla sceneggiatura?
Mathieu si è ispirato a me per scrivere il personaggio di Saïd. Non l’ho aiutato a scrivere una scena particolare, è un insieme. Il film è un lavoro di squadra. È importante lavorare in perfetto accordo con il regista per capire cosa si aspetta da te. Mathieu un giorno mi spiegò che un attore è qualcuno che impara le sue battute ma è anche qualcuno che suggerisce delle cose dando un contributo.

Come hai conosciuto Mathieu?
Da Vincent Cassel, prima delle riprese di METISSE, circa tre anni fa. Ci siamo subito trovati bene.

Come siete arrivati ​​a lavorare insieme? Come sono andate le riprese?
Ti innamori di qualcuno quando lavori con lui e ami quello che fa… Ancora oggi ne soffro le conseguenze. L’amore è odio e allo stesso tempo dobbiamo imparare a proteggerci. È come se fossi al guinzaglio, ma il guinzaglio è così grande che non lo senti… Devo uccidere Mathieu per andare avanti e investirci al cento per cento! Le riprese, potrei definirle con diversi aggettivi: tese, positive e fortunate perché c’è una grande fortuna quando si gira in queste periferie. Gli sguardi sono pesanti e la cosa peggiore è andarsene restando… È molto dura. Devi avere rapporti molto umani con le persone, in ogni momento. Gli stati d’animo cambiano, è ciclico.

Ha senso per te la portata sociale de L’ODIO?
Spero che le persone agiscano, non solo i giovani ma anche il pubblico più adulto. Vorrei che si rendessero conto che questa situazione non esiste lontano da casa. La realtà è così forte che è difficile affrontarla e la maggior parte delle volte le persone preferiscono chiudere gli occhi. Il mio personaggio nel film è iperattivo perché è l’unico modo per non pensare troppo, per non autocommiserarsi. Se il film riesce a sensibilizzare la gente su questo, è già un grande passo avanti… Non è solo un film sugli errori della polizia, è anche una grande lezione sull’amicizia. Le periferie sono un luogo molto ricco, è un mix di razze, di culture, è una fonte di ricchezza. La gente vive a cento miglia all’ora. È come quel film con Arletty in cui un uomo le passa accanto e dice: “Quanto sei bella!” Lei risponde: “No. Non sono bella, sono viva”. Per le periferie è lo stesso.

Frammenti tratti dal pressbook originale del film La Haine (Les Productions Lazzenec, Francia,  1995).

INTERVISTA AL PRODUTTORE CHRISTOPHE ROSSIGNON

Come hai conosciuto Mathieu?
È quasi una favola! Durante la mia prima settimana a Lazennec, Alain Rocca e Adeline Lecallier mi hanno accolto per guidare Lazennee. Molto semplicemente, vedo un ragazzo che entra nel mio ufficio e mi dice: “Posso entrare con la bici?”, gli chiedo perché e risponde: “perché vorrei conoscerti, sembra che tu faccia dei cortometraggi per Lazennec”. Gli rispondo: “Sì, ma cos’è questa bici?”. Lui mi dice “non voglio lasciarla fuori, me la rubano!” Dico va bene, lui entra, ha il berretto e le scarpe da ginnastica, è Mathieu! Mi dice: “Ho cominciato una cosa, si chiama “Fierrot le pou”, ho già i del girato se vuoi te lo faccio vedere te, ma non ho più pellicola per finirlo. Vuoi aiutarmi?” E questo è tutto. È il primo regista che ho conosciuto. Mathieu e io abbiamo iniziato davvero insieme perché “Fierrot le pou” è stato il nostro primo cortometraggio, quindi la nostra prima vera esperienza nel cinema. È un legame molto stretto, forte tra noi!

Dopo di che…
Poi abbiamo realizzato insieme altri due cortometraggi: “Nightmare White”, tratto da un fumetto di Moebius e “Assassins”, poi un primo lungometraggio: “Métisse”. Dopo L’ODIO produrrò il terzo film di Mathieu che si chiamerà “Assassins” come il suo terzo cortometraggio.

Non vi lasciate mai più!
Conosci l’espressione: “Una squadra che vince non si cambia!” Mathieu ed io ci conosciamo bene ormai. Siamo riusciti a instaurare tra noi una vera fiducia e un profondo rispetto per il posto che ognuno deve avere nel processo di creazione e realizzazione di un film.

L’ODIO ha cambiato la tua percezione delle periferie?
SÌ. Ora la vedo in modo completamente diverso. Sono figlio di un contadino, vengo dal Nord della Francia da un mondo rurale dove non esiste il concetto di periferia. E da quando ho lasciato la mia regione vivo a Parigi. Quindi avevo una visione delle periferie nutrita dai media. Ora penso che quello che penso nei confronti della periferia si riduca alla frase che abbiamo usato per il poster: “fino a qui tutto bene”.

Sei un produttore felice?
Ho 35 anni, faccio questo lavoro da soli cinque anni (prima ero ingegnere alla SIEMENS). Ho prodotto quattro film tra cui uno con cui ho avuto la possibilità di andare a Hollywood per gli Oscar: “Il profumo della papaya verde” di Tran Anh Hung. Lavoro con due registi (Mathieu e Hung) con i quali mi trovo molto bene e con i quali ho 12.000 progetti. Infine, sono uno dei tre produttori associati di LAZENNEC, che sta per diventare il primo mini-studio “alla francese”, che mi permetterà di curare ancora meglio la produzione dei miei film. Quindi lascio rispondere te stesso alla domanda!

Frammenti tratti dal pressbook originale del film La Haine (Les Productions Lazzenec, Francia,  1995).

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